venerdì 13 giugno 2014

Divenire ...


Speranza di un risveglio politico e religioso dell'umanità


La storia dell'essere è la storia del rapporto e della relazione che l'uomo instaura con ciò che è e con l'Essere sommo. Sin dai primordi dell'umanità l'essere umano ha percepito il legame che lo unisce agli altri uomini e alle cose circostanti, così come la connessione misteriosa che lo lega al sacro, a quell'inspiegabile e inconoscibile che sta dietro il mondo. In questo contesto, la politica nasce dalla percezione del legame inscindibile con gli enti e gli esseri; la religione dalla percezione della connessione fondamentale con l'elemento divino. Ma anche la religione, nel suo produrre rapporti e relazioni dotati di concretezza sociale, si manifesta, in definitiva, come un fatto essenzialmente politico. 
La politica è l'arte del governo di una società che comprende soggetti e oggetti in reciproco nesso, mediante la costituzione di istituzioni adeguate capaci di agire negli interessi della collettività. La religione è l'arte dell'invenzione di un vincolo, in primo luogo mitico, e in secondo luogo morale, tra una popolazione di credenti e non-credenti, qui pure attraverso l'azione di opportune istituzioni. Si hanno dunque due forme di potere, l'una incarnata dallo Stato, l'altra dalla Chiesa, laddove lo Stato possiede il dominio degli eventi di Natura - seppure è la Natura in verità a dominare lo Stato in quanto composto di corpi d'uomini, sottoposti alle leggi naturali -, e la Chiesa il dominio degli eventi di Dio - sebbene sia Dio in verità a dominare la Chiesa in quanto composta di spiriti d'uomini, sottoposti alle leggi divine -, in un esercizio parallelo e complementare. 
Politica e religione si mostrano quali le colonne portanti sulle quali si edifica l'edificio comunitario umano; senza il sostegno di una di esse l'intero edificio crolla e va in rovina. Perciò, occorre superare l'avversione che nell'età contemporanea si prova nei confronti di queste due forme culturali, avversione che ha origine nella dimenticanza dell'essenza della loro esistenza, del senso della loro presenza tra gli uomini. Senza di esse non vi sarebbe, infatti, alcuna identità legislativa né alcuna identità etica sulle quali basare i comportamenti umani. Ma tale oblio è, al pari, un oblio dell'essenza dell'esistenza, del senso della presenza degli enti e degli esseri medesimi nel loro più proprio essere, nonché dell'Essere che li racchiude e conchiude. Se ciò è vero, solamente tornando a rammemorare e riponendo nella giusta luce tutto quel che è in quanto è e in quanto dona l'essere, sarà possibile rivalutare e al contempo far risorgere, vitalizzandolo, l'anelito politico così come l'altrettanto necessario anelito religioso, per l'avvento di un nuovo Rinascimento.   

Ontologia ...


Scoprimento della verità dell'Essere


L'essere si delinea, da un lato, quale l'insieme delle cose che sono, dall'altro, quale ciò che fa essere le cose così come sono e non altrimenti. Quindi, nel termine si hanno, congiunte, le determinazioni dell'esistenza e dell'essenza.
L'esistenza può essere definita come la sussistenza della cosa, ossia la cosa nella sua realtà effettiva, nel suo "come è", di contro al "che cosa è" dell'essenza. Si tratta dell'attualità (energeia) della cosa in quanto opera umana o naturale. L'essenza si può definire come la natura più intima di una cosa, la quale coincide a rigore con il suo proprio nascimento (arché, il principio e la disposizione dal quale la cosa proviene e grazie al quale prede avvio il suo movimento), ma anche con la sua propria enticità (ousia, la forma sostanziale e l'aspetto evidente della cosa, la figura e l'organizzazione visibili). Da qui deriva, altresì, il concetto della cosa. 
Le cose che sono vengono chiamate enti, in quanto hanno l'essere. L'essere di un ente determinato appartiene all'ente medesimo, è a lui immanente. E nondimeno vi è un Essere che differisce dall'Ente, cioè dall'essente come tale nella sua totalità, nonché dalla cosalità di cotale essente, giacché risulta essere da esso separato, trascendendolo: è l'Essere assoluto di contro all'essere relativo dei singoli enti. Non è possibile comprendere un tale Essere se non a partire da codesta radicale differenza ontologica.
Il complesso degli enti, o Ente, è la Natura; l'Essere si identifica, invece, con il Dio. Il dualismo di Dio e della Natura racchiude interamente l'ambito dell'essente cosale: Dio è infatti quell'anima che, instillata nella materia, produce quest'ultima e la conserva e mantiene in atto eternamente. Pertanto, la materia stessa, grazie all'anima, si mostra quale opera intrinsecamente divina. 
Entrambi l'Essere e l'Ente, Dio e la Natura - l'elemento maschile attivo e quello femminile passivo, il movimento dinamico e la stabilità strutturale - sono nominati nelle parole sacre Tao, Physis e Brahman, ovverosia, rispettivamente e secondo la lettera, la Via, la Scaturigine e la Crescita, e infine lo Sviluppo. 

Aletheia ...


Con che cosa concludere se non con colui che tutto in sé conclude?


(Forma metrica: endecasillabo sciolto)




L'Essere e l'Ente (ovvero il Cielo e la Terra)


Guardo d'intorno, e mi giunge incontro
l'Ente. Mutevole è il suo sussistere
ma bensì saldo. Non ne scorgo l'essere.
Nascosto: dove mai lo rinverrò?
So della sua presenza: ogni cosa
infatti, è, ed a me si presenta;
ogni cosa corporea o incorporea
sta lì e s'impone ai miei sensi, costante. 
Divieni, Ente multiforme, sii
stabile nel divenire incessante
roccia su di un fiume, scoglio su mare;
divieni, e sii, tal quale appari.
Invero, l'Essere sta nell'origine.
L'Essere sta, sfavillante radura
nel persistere di ciò che si origina.
Egli non è l'Ente. Egli dell'Ente
è il Nulla dentro al quale il mondo giace.

Guardo d'intorno, e viene a me incontro
l'Essere molteplice e variopinto.
Meraviglie nell'iride fa scorgere!
esseri animati, e parimenti
inanimati, la luce e i colori. 
Non paiono miracoli del Cielo?
Dio si svela nelle cose che sono
 e la Terra è il suo divino prodigio.
Nascosto: lo intravidi nello schiudersi
dei fiori di campo e altresì nel sorgere
dell'astro aurorale; baluginò
Egli, nel generarsi della vita.
Eppur l'appassire, il tramontare
   il soccombere alla morte rivelano
anch'essi, la infinita sua natura.
Egli è l'eternamente duraturo
l'anima che opera, la potenza.

Lode a te, oh Dio dello spazio-tempo
lode a tua moglie ch'è la Grande Madre.
Ella è la carne, tu sei l'energia
che ognora la penetra e la pervade
ingravidandola, donandole il frutto
della possente e sempiterna nascita
del cangiamento che giammai s'arresta.

giovedì 22 maggio 2014

Continente ...


Per un'Europa migliore


L'obiettivo politico più grande del nostro tempo risulta essere, senza dubbio, la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. Schiacciata dal dominio delle grandi potenze continentali - Stati Uniti, Russia, Cina - l'Europa ha perduto quella preminenza che possedeva solo un secolo or sono, prima delle guerre mondiali e del conseguente ridimensionamento a un ruolo vieppiù di secondo piano nello scacchiere globale. La crisi economica e politica che l'attanaglia è in verità un effetto di cotale declino.

Dal punto di vista economico, l'Europa deve unificare le proprie strutture istituzionali attorno alla Banca Centrale Europea. Questa - lungi dall'essere un mero guardiano dell'operato delle banche nazionali e un equilibratore dei livelli di inflazione, com'è attualmente - deve farsi garante della spesa a deficit di tutti gli Stati d'Europa, nessuno escluso, acquistando i loro titoli di debito quando lo richiedano e in maniera diretta, ovvero senza passare attraverso mercati di capitali privati e senza ordinare l'acquisto alle banche commerciali. Così soltanto sarebbe possibile, per tutti i paesi comunitari, da un lato, sfuggire al pericolo del default; dall'altro, avere a disposizione la liquidità necessaria per sostenere le spese e gli investimenti essenziali alla crescita produttiva. Dopodiché (cioè dopo codesti passaggi fondamentali, non prima) si potrà quindi pensare all'esigenza di costituire una unione bancaria e di creare una politica fiscale unitaria.
Ma più importante ancora di queste condizioni è l'instaurarsi di una nuova situazione politica. Il Parlamento europeo, unico organo elettivo tra i tre organi di governo europei (gli altri due sono la Commissione europea e il Consiglio europeo), deve acquisire preminenza rispetto alla Commissione, i cui membri non sono eletti, e che appare popolata da burocrati al servizio di lobbisti a loro volta alla dipendenze dei grandi gruppi finanziari, industriali e bancari d'Europa; e parimenti rispetto al Consiglio, così come in ogni democrazia che si rispetti il governo e i suoi atti sono sottoposti all'approvazione dell'assemblea popolare. Insomma, se oggi il Parlamento risulta di fatto relegato a una funzione quasi esclusivamente consultiva, domani esso dovrà ricevere interamente la funzione legislativa. Infine si dovrà operare una redistribuzione, maggiormente egualitaria, dei seggi e delle cariche, al fine di compensare l'eccesso di potere proprio delle nazioni centrali e la mancanza di influenza propria delle nazioni periferiche.
Nondimeno, il principio cardine - oramai da tempo scardinato - da restaurare in questo quadro di riforme possibili, è la sottomissione dell'ambito economico all'ambito politico. In questa direzione si inserisce il progetto di fondazione di un Ministero del Tesoro europeo, nel contesto di uno Stato sovrano che abbracci e ponga sotto la propria giurisdizione tutti i territori dall'Europa occidentale a quella orientale e da nord a sud del continente, uno Stato, dunque, che con il suo braccio si trovi in grado di piegare l'irruenza e l'irrazionalità dei mercati al proprio volere ragionevole.

Di qui passa il destino di grandezza dell'Unione Europea. In alternativa a tali rivolgimenti sta solamente la disgregazione.

Mito ...


Archeologia dell'Europa e disamina delle sue sembianze storiche


Europa: donna fenicia, figlia di re - secondo il mito greco - di cui Zeus, genitore e sovrano di tutti gli dèi, si innamorò, e quindi volle far sua. Assunta la forma di splendido toro bianco, nel mezzo della mandria dei buoi del padre di lei, s'avvicinò stendendosi mansueto ai suoi piedi, nei pressi di una spiaggia su cui ella, con la sua bellezza, si dilettava a raccogliere i fiori e a rinfrescarsi nelle acque assieme alle sue ancelle. Rassicurata dalla bonarietà del possente toro, che quietamente si faceva carezzare, le montò, per voglia e per gioco, sul dorso; ma egli allora d'improvviso s'alzò, fuggendo via e rapendo la fanciulla spaventata, portandola con sé attraverso il mare sino all'isola di Creta. Lì Zeus le rivelò la sua vera identità, e tentò di violentare la vergine donna, la quale però resistette. Per avere la meglio sul suo corpo il dio, allora, si fece aquila, e la afferrò e possedette impetuoso sotto un albero di platano, il quale da quel giorno ebbe la virtù di mantenere le proprie foglie anche in inverno, permanendo sempreverde. Dall'unione di Zeus ed Europa e dalle successive nozze, nacque Minosse, futuro re di Creta e fautore della prosperità della civiltà cretese, dal quale in seguito sorse l'ancor più prospera civiltà ellenica. 

Al principio, in età antica, la Grecia era l'Europa, e l'Europa era la Grecia. In Grecia, ovvero in Europa, ebbe nascimento la Filosofia. Ma dalla filosofia emerse, in età moderna, la Scienza, cosicché anch'essa si trova ad avere un'origine europea. Parimenti, la Politica e la Storia giacciono in questa stessa culla, nella quale riposa, essenzialmente, la cultura occidentale.
Con la conquista romana l'eredità europea si diffuse, attorno al Mediterraneo, nei domini dell'Impero. Europa e Roma, la patria del Diritto e della Legge, ora coincidevano. Europa fu però, altresì, la comunità cristiana, sopravvissuta, a custodire l'integrità istituzionale e continentale, dopo la caduta inesorabile della comunità romana. Europa e Religione - il Cristianesimo - erano una cosa sola. 
Oggi, Europa non sta più per 'civiltà'. Nel mondo globalizzato, infatti, non vi sono più i 'barbari', gli stranieri. L'età contemporanea è storia del declino dell'eurocentrismo, di quell'ideologia, cioè, che vede il continente europeo al centro del mondo, in quanto elargitore della ricchezza e dello sviluppo all'intero pianeta. Eppure la ricchezza e lo sviluppo stanno, attualmente, altrove: nell'estremo Occidente (che da semi europei, in ogni caso, è germogliato) e nell'estremo Oriente (che sull'influenza europea si è, per secoli, pasciuto). 
Nondimeno, l'Europa non è morta, bensì vive, e la sua vita è destinata a durare, e la sua anima a ingrandirsi nuovamente, in una futura epoca dell'oro di là da venire.

Civiltà ...


(Forma metrica: settenario sciolto)


Risorgi, Europa


Risorgi dalle ceneri
Europa, degli Stati
come araba fenice
e immortale risplendi!
In prossimo passato
pure fosti del mondo
il Sole e l'epicentro
culla di civiltà.
Ma venne inesorabile
il declino funesto
e i numerosi popoli
che fieri ti compongono
decaddero dal trono.
E or sì distante pare
il riscatto, non scorgo
ancora di salvezza.
Ché i rigogliosi giorni
son venuti ed andati
e scarsità e bassezza
han preso la dimora.
Fin quando durerà?
Silenzio s'ode. Certo
soluzione verrà
un giorno, da giganti
eletti tra gli uomini
(ma da sé stessi eletti
non da altri) da nobili
spiriti, di virtù 
Mente e Mano intrisi.
Verrà certo quel giorno
quando potenza grande
surgerà e sarà pari
- ricco, prospero evo -
a Oriente ed Occidente.
Ma non è questo il giorno.
Ma non è questo il giorno.

martedì 15 aprile 2014

Cura ...


Estremismo della compassione. Idee radicali e attuazioni per una pietà politica


I sentimenti umani possiedono un ruolo sociale. Se i sentimenti negativi (odio, invidia, gelosia, eccetera) contribuiscono a rompere i legami tra le persone e a far emergere fra di loro il contrasto, i sentimenti positivi (amore, ammirazione, fiducia, eccetera), al contrario, non fanno che sancire quei legami personali e destare concordia. Essendo la concordia il fondamento di ogni società, lo Stato ha il dovere di favorire quei sentimenti che sigillano l'unione e l'ordine e, viceversa, di osteggiare quelli che possono provocare un principio di disgregazione e di disordine nel tessuto comunitario. 
La compassione risulta essere, a questo riguardo, uno dei maggiori e più benefici sentimenti positivi, di contro all'apatia quale sentimento negativo tra i peggiori e più deleteri. Essa, generando sovente degli atti di pietà, fa sì che si producano e mantengano l'equilibrio e l'armonia tra i cittadini, quell'equilibrio e quell'armonia che incarnano il bene di una nazione. Pertanto, una politica sana non potrà che essere una politica compassionevole - giacché è il governo, in primo luogo, a dover dare l'esempio ai governati -, ovverosia una politica assistenziale rivolta alle minoranze emarginate e alle classi disagiate, e cioè agli strati della popolazione che più di tutti avvertono la necessità di un concreto soccorso statale. In tal senso, sarebbe utile e conveniente inserire, ad esempio, all'interno delle legislazioni nazionali una elemosina obbligatoria al fianco di quella facoltativa, sul modello dei paesi islamici.

Certamente, è merito delle religioni, e soprattutto di quelle religioni che sulla compassione fondano l'intera loro dottrina pratica, quali il Cristianesimo e il Buddismo, l'aver introdotto nella civiltà e radicato nelle coscienze morali la pietà verso i miseri - siano essi i poveri, gli oppressi o in generale i disgraziati - la quale prima era prerogativa esclusiva dei soli eroi magnanimi e dei grandi uomini nobili; in breve, la preoccupazione per le vittime. Ma quel che ancora non è stato raggiunto è un traguardo di gran lunga più difficile, un azzardo che renderebbe la comunità che lo attuasse la più avanzata tra le numerose comunità presenti nel mondo, la più perfetta dal punto di vista etico. Codesto traguardo si delinea come preoccupazione nei confronti dei carnefici, pietà verso coloro che fanno il male (essi pure, in verità, nient'altro che dei miseri), compassione piena e completa che include l'umanità infelice tutta. Lo Stato che arrivasse a comprendere il giovamento che deriverebbe da ciò sarebbe allora il più lungimirante, la società da lui governata la più equilibrata ed armonica, i cittadini a lui sottoposti i migliori in assoluto nella loro virtù. 
    

Beneficenza ...


Disamina del fenomeno della compassione


Compassione, ovvero condividere una passione; compatire, ossia patire insieme a qualcuno. Con tali parole indichiamo un sentimento che sorge nell'animo dell'uomo quando egli scorge, nell'aspetto altrui, i segni della sofferenza e dell'afflizione. Non appena compaia alla percezione, e primariamente alla vista e all'udito, il dolore di un essere, sia esso dolore di tipo fisico oppure di tipo psichico - quel dolore che deforma le pieghe del corpo e dell'anima martoriandoli impietoso sino al limite della sopportazione - ecco che allora anche il percipiente s'immagina di esperire il medesimo stato, e pertanto vien preso dall'angoscia e diviene così partecipe, in sé, del dolore dell'altro. Si tratta di un fenomeno spontaneo, involontario: dunque di un fenomeno naturale, il quale è spesso seguito, se abbastanza intenso, da una opportuna azione di assistenza nei confronti del bisognoso. 
Cotale dono - giacché con ciò invero si ha a che fare, con un dare, un concedere qualcosa nel limite delle proprie possibilità - non può dirsi un dono totalmente gratuito, né tale azione un'azione integralmente altruistica: anch'essi, il dono e l'azione in questione, muovono da una forma di egoismo, e precisamente dal voler liberarsi di quella situazione penosa condivisa, dal voler pacificare in tal modo la propria coscienza morale attraverso l'esecuzione di un dovere che non sempre coincide con un piacere, dal voler evitare o scacciar via il senso di colpa che deriva o deriverebbe dal caso di un mancato intervento. Senonché si ha qui a che fare con una forma di sano egoismo, di contro alle forme di egoismo malsano, quali sono, per esempio, il cinico disinteressarsi e fregarsene le mani, e il sorvolare sulla condizione di miseria esperita pascendosi nella propria indifferenza.
Vi è chi crede o ha creduto (e, parimenti, chi crederà) che il sentimento di compassione (e, con esso, l'opera pietosa) sia oltremodo dannoso: dannoso per sé stessi in quanto distoglie l'attenzione dall'esistenza del proprio Io verso l'esistenza di un qualsiasi non-Io, e di conseguenza fa sì che si rivolga a questo le cure che dovrebbero essere elargite primariamente o addirittura esclusivamente a quello; dannoso per gli altri in quanto offende l'orgoglio e il pudore del compatito aggiungendo lui una ulteriore ferita e lasciandolo nella vergogna di dover essere stato aiutato, cioè di non aver avuto la forza di aiutarsi da sé, e di aver dovuto esporre la propria intima debolezza per giustificare quell'ausilio richiesto o non richiesto. Può accadere, a questo proposito, che l'uomo che nella sua impotenza subisce il compatire possa anche non desiderare affatto l'ausilio altrui, e quindi possa trovarsi ad essere assistito contro la propria volontà, il che farebbe nascere in lui sdegno e rabbia e ingratitudine, oltre a esacerbare l'impotenza stessa che è causa principale della sua pena.
Ma se si osserva il fenomeno da una posizione più alta, si può comprendere che: ciò che si mostra come spontaneo e naturale, ciò che avviene nella propria interiorità senza il concorso del volere consapevole, è anche qualcosa di necessario. Ma ciò che è necessario, da un lato, non può essere contrastato nel suo presentarsi, dall'altro, genera infelicità se vien represso una volta che si sia presentato; ciò che dona un aiuto, se l'aiutato lo richiede o se, pure non richiedendolo, manifesta di averne bisogno, allevia o addirittura fa cessare la sofferenza e l'afflizione proprie e altrui. L'alleviamento o la cessazione dei patimenti, però, risultano essere evidentemente benefici per sé stessi come pure per gli altri; l'assistenza pietosa, se rende felici e se porta il bene, non può che unire, introducendo una comunanza d'amore, coloro che prima erano divisi. Il compatente e il compatito infatti ora condividono una passione e un debito reciproco, i quali li legano indissolubilmente l'uno all'altro. 
Compatire è, esattamente e in senso proprio, un rafforzarsi vicendevole per cui un soggetto accorda parte della propria energia a un altro soggetto, affinché entrambi possano acquietare sé stessi e trascorrere una vita più paga.

Agape ...


(Forma metrica: ode)


Bonaria compassione


Lode a te, che sei simile
bonaria compassione
a colomba mirevole
e a singolar tenzone:
odiosa infatti e amabile
ti mostri in verità.

Divino rendi l'animo
dell'animale umano
quando appari, ché adito
mai non dai a malsano
egoismo, e a rigida
funesta aridità.

E così dunque uomini
unisci in stretti lacci;
Cristo e Budda l'insegnano
ammantati di stracci:
amate il vostro prossimo
spargendo carità.

Ché non sarà mai saturo
d'amore il cuore altrui
che si dimena misero
solo, in antri bui;
tu lo renderai madido
d'abbagliante pietà.

Ma in vasti mari naviga
- mari d'indifferenza
placidi - mente cinica
e non coglierà lenza
egli, quando uno spasimo
dolente avvertirà.
 

lunedì 10 marzo 2014

Progresso ...


Tradizione e innovazione


Nell'epoca della globalizzazione l'ideale di famiglia tradizionale deve essere rivisto alla luce delle nuove dinamiche sociali, essendo oramai la famiglia intesa come raggruppamento di padre-maschio, madre-femmina e figli (maschi e femmine) qualcosa di superato. La liberazione sessuale ha permesso infatti alle persone di orientamento "omo" di venire alla luce e di porsi sullo stesso livello di quelle d'orientamento "etero", dimodoché anch'essi oggi rivendicano il diritto a sposarsi e ad avere dei figli. Deve la politica assecondare l'andamento dei tempi e regolamentare, mediante la legge, codeste ultime esigenze, oppure deve opporsi a cotale andamento rifiutandosi di riconoscere le emergenti realtà umane, ostacolandone l'insorgere o addirittura impedendole?
La legalizzazione del matrimonio omosessuale pone diversi problemi. Innanzitutto il problema religioso: l'omosessualità viene infatti giudicata, dalla religione cristiana - ma anche da quella ebraica e da quella islamica - come un abominio, e i suoi atti amorosi sono reputati atti immondi. Perciò difficilmente la Chiesa accetterebbe una ipotesi del genere, e lo Stato sarebbe costretto, qualora volesse procedere sulla propria strada, a passare, mediante le proprie istituzioni, sopra la volontà delle istituzioni ecclesiastiche. Altro problema risulta essere l'opposizione delle correnti tradizionaliste, le quali rifiutano l'idea di una famiglia atipica, credendo quest'ultima una degenerazione dell'istituto familiare normale, o peggio il principio della sua disgregazione. Entrambe le linee si trovano in accordo riguardo alla presunta innaturalità del secondo modello familiare rispetto al primo, visto al contrario come naturale.
La legalizzazione dell'adozione di bambini per le coppie gay suscita problematiche ancora più complesse. Ci si deve chiedere se la sostituzione del dualismo sessuale dei genitori con un monismo sessuale produca o meno conseguenze negative per i piccoli, che subiscono l'influsso e l'educazione dei loro tutori, e a tali questioni deve essere data risposta sicura.
L'affermazione dell'innaturalità della coppia puramente maschile e di quella puramente femminile non ha alcun fondamento. Se infatti si vuol considerare innaturali una tendenza e un atteggiamento, occorre necessariamente che questi non si diano in natura. Ma le tendenze e gli atteggiamenti omosessuali sono presenti nella società umana sin dall'antichità, e possono essere osservati persino nell'universo animale in genere. Ciò basta per smontare le pretese dei clericali e dei tradizionalisti.
La natura di qualunque essere vivente si adatta spontaneamente alle condizioni circostanti, modificandosi in relazione all'ambiente che si offre ai sensi, secondo la legge evolutiva. L'essere umano di fronte all'ambiente familiare non fa eccezione; inoltre, i suoi bisogni si rivolgono non tanto alla persona, quanto a quei doni che la persona è in grado di elargire. Questo vuol dire due cose: da un lato, il bambino volge sempre a proprio bene la situazione familiare impostagli; dall'altro, egli ha bisogno di amore, indifferentemente del fatto che a darglielo siano una coppia uomo-donna, uomo-uomo o donna-donna. La conclusione è presto detta: il bambino saprà trarre beneficio dalla sua famiglia, a patto che la sua famiglia lo ami abbastanza da permetterglielo. Il figlio allora identificherà coloro che si prendono cura di lui come i propri genitori, sebbene in verità non loro ma altri l'hanno generato, e individuerà in loro una figura paterna e una figura materna, un padre e una madre, anche se essi appartengono al medesimo genere sessuale. 

Psicologia ...


Esposizione dei complessi di Edipo e di Elettra


La famiglia intesa in senso ristretto, quale nucleo familiare composto esclusivamente di padre, madre e figli in reciproco legame, ha radice nei fondamentali complessi psichici di Edipo e di Elettra, per mezzo dei quali si instaurano quei peculiari rapporti affettivi che determineranno in maniera essenziale la futura convivenza tra i singoli membri. 
Nel momento in cui il figlio, maschio o femmina, viene all'esistenza come neo-nato, egli possiede già un'intimità originaria con la madre in quanto corpo nel quale si è ritrovato a vivere, in stretta simbiosi, durante i suoi primi nove mesi di vita. Se la fusione iniziale viene meno quando il pargolo fuoriesce dal ventre materno e il cordone ombelicale viene tagliato, non può dirsi altrettanto riguardo all'interdipendenza, che invece permane; in definitiva, l'unione dei corpi si spezza, ma l'unione delle anime si mantiene eternamente. Il padre, al contrario, difetta di qualsivoglia tipo di intimità naturale con il figlio, e deve pertanto costruire a forza il proprio legame, imponendosi e mostrandosi come figura sentimentalmente e pedagogicamente imprescindibile. 

Il complesso di Edipo si delinea come quell'insieme di fenomeni che procedono dallo svolgimento della relazione tra il padre, la madre e il figlio di sesso maschile. Sin dal principio il figlio ama la madre di un amore spontaneo, giacché lei risulta essere, per lui, la fonte primaria del nutrimento - il latte, quale nutrimento del corpo, e l'affetto, quale nutrimento dell'anima - e del piacere - il piacere fisico derivante dalla suzione del seno, e quello psichico derivante dalla stimolazione sensoriale - (l'amore, infatti, ha nascimento innanzitutto dal bisogno). Codesto amore si perpetua nei primi anni della crescita; al contempo il bambino sviluppa, in conseguenza dell'amore per la madre, un odio nei confronti del padre in quanto colui che si appropria dell'oggetto del suo desiderio (l'amore, infatti, è innanzitutto desiderio di possesso). La passione, radicata nell'animo del fanciullo, innesca l'inevitabile conflitto con la figura paterna. Giunti a questo punto, la maturazione passa attraverso il superamento del conflitto: il figlio subisce lo smacco di non poter avere per sé la madre, e al trionfo del padre si accompagna la fine della conflittualità e il cominciamento del rapporto familiare ordinario. Tale passaggio è predisposto dalla fantasia del piccolo: esplorando il proprio corpo egli nota di essere munito del pene; inizialmente, crede che l'organo sia proprio anche degli altri membri della famiglia, la madre in primis (si parla, a riguardo, di "madre fallica"); scoprendo poi che la madre e, se ne ha una, la sorella, non presentano quel particolare privilegio, e che invece il padre lo presenta, si immagina che il padre abbia punito la madre, ed eventualmente la sorella, castrandole e privandole così del fallo. Sorge quindi in lui il timore della punizione paterna, la paura della castrazione, il terrore che possa essergli estirpato con la violenza ciò che gli appartiene. Di qui il cedimento, ovvero la rinuncia alla pretesa di possesso della madre e la successiva alleanza con il padre, riconosciuto e ammirato come possessore di colei che egli non potrà mai possedere. 
Di contro, il complesso di Elettra raccoglie quell'insieme di fenomeni che procedono dallo svolgimento della relazione tra il padre, la madre e la figlia di sesso femminile. La femmina, così come il maschio e per i medesimi motivi, prova amore nei confronti della madre prima ancora di provarne per il padre, e solo successivamente il suo desiderio si volge verso il sesso opposto. Anche in questo passaggio risulta determinante la fantasia della bambina: ella ben presto vede la nudità del padre e, in caso, del fratello, e si accorge di non possedere il membro maschile; frustrata da cotale mancanza, presa dall'invidia per il pene, reputa la madre responsabile della castrazione già avvenuta, e la delusione fa sì che in lei sorga un'ostilità verso la propria genitrice, e che si innamori invece del padre in quanto possessore esclusivo di ciò che anch'ella vorrebbe possedere. L'ostilità diviene allora odio aperto e competizione con la madre per il possesso del padre, e il superamento di codesta rivalità potrà attuarsi solamente grazie alla pazienza e all'intelligenza materne, ovvero grazie alla costanza del rifiuto, da parte del genitore di sesso femminile, dello scontro con la figlia e alle sue continue cure e premure nei confronti della fanciulla in vista della conciliazione con lei. 

La madre, in definitiva, è la figura centrale. In entrambi i processi il padre è quasi un'aggiunta secondaria, la sua presenza quasi un alcunché di accidentale, il suo influsso un influsso esterno. Lei è l'incarnazione della Natura genuina e necessaria, lui della contingente e artificiosa Cultura, e in questo dualismo si mostra rappresentata non soltanto la famiglia, bensì la società intera nel suo sviluppo.
 

Stille ...


(Forma metrica: terzina incatenata)


La famiglia


Sorge il feto nel ventre della madre
simile a gemma di rosa che schiude
frutto d'amore, e membra leggiadre

da grumo di cellule affioran nude;
ella è il legame che giammai perisce
che al Distruttore l'opera preclude.

Il suo sangue in altre vene fluisce
incessante fiume, non in me solo:
prole fraterna e sorerna fiorisce

in egual modo e l'ali del mio volo
son le medesime loro. Lo stesso
è il grembo, il vasto crogiolo

da cui un giorno nascemmo in folle amplesso;
sul rovente letto seme fecondo
fu seminato, vigore trasmesso:

lei aprì l'organo suo fremebondo
come rapita dal gagliardo padre
nettare egli versò nel nero fondo.


venerdì 14 febbraio 2014

Diritto ...


Sull'appellativo di giusto riguardo alla legislazione e alla politica


Se si definisce la giustizia come l'essere conforme alla legge, allora si può pensare che tutte le leggi, quali che siano, siano giuste. Come può, ci si chiederà a questo punto, una cattiva legge - una legge repressiva di qualche libertà fondamentale oppure una legge iniqua - essere, nonostante ciò, detta giusta? Ma la questione, in verità, non è così posta nel modo più appropriato. 
Si dovrebbe piuttosto pensare alla legge come a un qualcosa che può essere o non essere conforme a una legge superiore. Si consideri ad esempio il diritto nazionale e il diritto internazionale: se le direttive del primo si mostreranno in accordo con le direttive del secondo, ciò vorrà dire che il primo si sarà guadagnato l'appellativo di giusto. Una legge inferiore è quindi giusta se concorda con una legge superiore. E la legge superiore, quand'è che sarà dichiarata giusta? 
La risposta a codesta domanda è semplice: se non vi è nessun'altra legge al di sopra di quella ad aver valore maggiore, quella legge non sarà né giusta né tantomeno ingiusta. Infatti, è la politica a fare le leggi e a rendere tutto quel che cade sotto il dominio delle leggi giusto oppure ingiusto, a seconda che si accordi o meno con esse, e da ciò consegue che, essendo gli uomini a fare la politica, la legislazione e la giustizia si rivelano come produzioni esclusivamente umane, aventi un carattere relativo e non invece assoluto.
Se poi determinate leggi siano utili o inutili alla comunità, adeguate o inadeguate a risolvere una certa problematica sociale, è oggetto di discussione. Una legge, essendo produzione umana, e potendo gli uomini sempre ingannarsi e commettere errori; potendo addirittura intenzionalmente recar danno allo Stato e ai cittadini per perseguire indegni fini personali, può risultare controproducente e nociva. Eppure questo non ha nulla a che vedere con il suo essere giusta o ingiusta: giusto è infatti nient'altro che ciò che è legittimo, ciò che è giustificato dal diritto e dalla politica che genera il diritto.

Norma ...


Critica dei concetti di giustizia e di bontà e fusione di legalità e moralità


Il senso comune confonde sovente la giustizia con la bontà, eppure i due concetti non si equivalgono. Giustizia è giudicare e agire secondo la legge - giudicare, nel caso in cui il soggetto incarni il mestiere di giudice; agire, nel caso in cui il soggetto si presenti come un cittadino ordinario (colui al quale non sia concessa la cittadinanza non è obbligato a seguire le norme della città, e la pretesa che debba farlo pur non ricevendone in cambio i diritti è assurda) - bontà è, invece, giudicare e agire secondo la morale - giudicare, nel caso del possessore di autorità spirituale, ovvero il sacerdote; agire, nel caso del laico, sia esso credente o meno (infatti le categorie mentali mediante le quali decidiamo e agiamo sono le stesse, date a priori, e la coscienza di ogni uomo si erige su una struttura trascendentale di base edificatasi attraverso l'educazione e l'influsso della cultura di appartenenza). Pertanto, il giusto e il buono si distinguono, e l'uno e l'altro possono presentarsi isolatamente. 
Il giusto, per essere tale, non ha bisogno di essere buono: gli basta obbedire ai codici e alle regole scritte del proprio Stato. Anzi, se si è giudici, occorrerà possedere una certa dose di malvagità per condannare e punire l'ingiusto, cioè colui che ha violato la legge, e maggiormente severa sarà la pena, maggiore sarà la cattiveria di cui il giudice dovrà essere munito affinché egli stesso sopporti il male recato. Il principio di qualsiasi legislazione è infatti: sia dato il male ai malvagi, e tanto più male quanto più se ne è compiuto. Persino il Giudice supremo non potrà allora essere al contempo infinitamente buono e infinitamente giusto.
Il buono, viceversa, non ha bisogno di essere giusto, giacché gli basta obbedire ai principi e ai doveri impostigli dalla sua religione. Qui si nota una potenziale contraddizione tra legislazione e morale, data dal fatto che il buono, per salvaguardare la propria bontà, potrebbe risultare impossibilitato ad agire giustamente. Ma tale antinomia trova risoluzione nell'integrazione della morale all'interno della legge, dimodoché le norme morali coincidano con le norme legali, e nell'inserimento del principio di obbedienza alla legge nell'insieme dei precetti morali, cosicché l'azione giusta si delinei anche come azione buona.

Dike ...


(Forma metrica: verso pari)


Il verdetto


Tribunale della Ragione, giudicami
come un tempo giudicasti
i miei padri, e severo li punisti
(Ragione infatti è ogni norma
da mani umane scritta o non scritta);
pondera
saggio i pro e i contra
e emetti fermo verdetto.
Sulla bilancia tua dorata il mio torto
sia pesato:
possa essere piuma d'uccello! Pena altrimenti
e castigo cadranno sul capo mio lordato
a mondarlo
dai suoi crimini meschini;
a ripulirlo da macchia infame.
'Ché tale è l'Inferno
sofferenza, e condanna
ma invero anche dolce sollievo e pieno riscatto.
Espiata la colpa, vedrò infine
la luce. Sarà Giustizia.
E con essa verrà duratura pace.
 

martedì 14 gennaio 2014

Riconoscimento ...


Razzismo etnico o etnismo razzista


L'odierno razzismo si contraddistingue per un'attenzione posta sugli elementi culturali più che su quelli naturali. Fermo restando il fondamento biologico della diffidenza e del timore nei confronti del diverso, inteso innanzitutto come diverso d'aspetto, ovverosia avente caratteristiche fisiologiche altre dalle nostre, si sono giustapposte, in epoca recente, una diffidenza e un timore verso la diversità spirituale, e cioè verso i valori, le tradizioni e le concezioni dissimili, nei quali noi non ci rispecchiamo e che, a partire dal nostro universo educativo, fatichiamo a comprendere (e spesso nemmeno ci impegniamo a conoscere). Se fino alla metà del secolo, quindi, era in auge l'idea di razza, legata appunto alla classificazione delle qualità fisiche ed esteriori, oggi sembra essere in voga, piuttosto, l'idea di etnia, che riguarda, di contro, le qualità psichiche e interiori. 
Il razzismo odierno, insomma, si delinea come razzismo etnico, o etnismo razzista. In pochi oramai credono, fortunatamente, nella presenza di proprietà genetiche che rendano un tipo umano inferiore o superiore rispetto ad un altro avente proprietà genetiche differenti, e nondimeno si crede che vi siano delle culture inferiori e superiori, e quindi dei portatori di cultura inferiori e superiori. Ad esempio, sembra essere appurata, su basi perlomeno precarie, all'interno dell'opinione pubblica occidentale, sia essa alta - la comunità intellettuale, le persone colte - oppure bassa - l'umanità media, la gente semplice -, una presunta superiorità artistica, scientifica, filosofica, politica, religiosa e morale delle popolazioni d'Occidente sopra a quelle d'Oriente e soprattutto Medio Oriente, ma anche delle popolazioni nordiche su quelle sudiste, come se le società del Nord-Ovest possedessero un più alto grado di civiltà in confronto a quelle del Sud-Est del mondo. Ma la stessa cosa può dirsi delle società da noi ritenute inferiori, le quali solitamente reputano sé stesse superiori, per purezza o sviluppo, alle altre.
Si tratta evidentemente di forme di narcisismo. Ma la verità è che nessuna società, e nessun uomo, può dirsi in toto superiore o inferiore rispetto ad un'altra e ad un altro. Vi saranno sempre, quale che sia la comparazione, determinati fattori di superiorità al fianco di altrettanto determinati fattori di inferiorità a convivere insieme in uno stesso giudizio, a patto che questo sia accurato e scrupoloso. Capire ciò, e accettare (non tollerare, giacché la tolleranza implica un rifiuto e una mera sopportazione di ciò che risulta non ancora accolto) ogni diversità avvicinando il proprio sguardo a essa e imparando ad apprezzarne le componenti migliori, è nient'altro che una questione di intelligenza. Ebbene, la politica degli Stati deve prenderne atto e agire di conseguenza, all'interno come pure all'esterno dei propri confini, particolarmente in un'era in cui la globalizzazione costringe alla convivenza tra uomini e tra culture eterogenei, il che implica la necessità dell'integrazione e dell'assimilazione. 
  

Zoologia ...


Dimostrazione dell'insussistenza della razza e conseguente infondatezza del razzismo


Il concetto volgare di razza ha origine da un fraintendimento della scienza biologica in relazione allo studio del regno animale. La comprensione ordinaria crede che sussista - accanto alle determinazioni tassonomiche di dominio, regno, divisione, classe, ordine, famiglia, genere, specie e varietà - la determinazione di razza in quanto appartenenza a un raggruppamento di individui affini definito da identificabili caratteristiche fisiologiche omogenee ereditarie. In verità però tale determinazione non è riscontrabile né tra gli esseri animali né tantomeno tra gli esseri umani, o, più precisamente, nell'ambito delle categorie biologiche sunnominate rientrano tutte le tipologie di esseri osservabili all'interno della mondanità empirica e perciò il termine "razza" si mostra perlopiù come obsoleto.
Quando invece si parla di razze canine, feline ed equine non ci si riferisce a individui selvatici aventi qualità comuni, generatisi spontaneamente dal seno della Natura e sviluppatisi mediante processo evolutivo, bensì a individui addomesticati prodotti artificialmente attraverso incroci mirati e passati attraverso una intenzionale selezione umana allo scopo di far sorgere, preservare, migliorare certe caratteristiche reputate utili piuttosto che altre considerate inutili alle esigenze dell'uomo. In breve, è l'essere umano stesso a creare la razza (non soltanto il concetto astratto, ma anche il corrispettivo concreto), la quale non si dà nella realtà. 
Se ciò è vero allora risulta destituito il fondamento stesso del razzismo, ovvero della discriminazione razziale nei confronti di alcuni esemplari umani (peraltro scelti in maniera pressoché arbitraria e pregiudizievole), motivo ideologico malsano eppure, ahimé, ancora diffuso. Se infatti non sussiste razza alcuna all'interno del regno animale, non sussisterà nemmeno, e a maggior ragione, all'interno di quella specie, o regno a sé stante se così lo si vuol definire non a torto, che è la specie umana. Come potrebbero infatti presentarsi razze umane se non vi è e non vi può essere nessuno - giacché effettivamente non si dà un superiore organismo vivente - a produrle intenzionalmente?
La storia, millenaria, ha provveduto alla mescolanza delle innumerevoli varietà di uomo e gli uomini non hanno domandato che razza avessero di fronte a sé per decidere dell'accoppiamento e della procreazione. Dunque non esistono tipi umani incontaminati e popolazioni pure, ma tutti i tipi e le popolazioni hanno inevitabilmente subìto la combinazione e l'amalgama dei patrimoni genetici iniziali per dar luogo a infinite mutazioni e, pertanto, a infinite forme, che non cessano continuamente di innovarsi, anche in relazione all'ambiente, ed è codesto un processo irreversibile, inarrestabile ed essenziale al progredimento della specie umana medesima, altrimenti condannata alla stasi evolutiva e al ristagno della propria potenza. 

Identità ...


(Forma metrica: verso dispari)


L'umanità (al di là di razza ed etnia)


Oh uomo, donami una razza
che sia negra, araba o slava;
sia caucasica oppure
 mongola, begli occhi di mandorla.
Ma sia pure amerinda
rossa epidermide
o latina, mediterranea stirpe;
sia delle genti
del Nord, bionda chioma dorata
sia quale sia.
Donami uomo una dimora
sicura in cui abitare, e una famiglia copiosa
tra cui sentirmi a casa:
abbia io padri, e fratelli numerosi
'ché solitudine non voglio e posso
sopportare, enorme giogo.

Ma donami anche
splendida etnia
cultura grande in cui specchiar la mia natura
mutevole (al suo ambiente essa
placida si adatta, l'eredità e le forme
variando, i caratteri
e il variopinto aspetto);
donami lingua comune e miti sontuosi
patrimonio di concetti e di dèi:
che a pensar mi insegnino, e ad agire
edificando ampia visione
e comprensione vasta
delle cose che sono
mediante quelle che invece non sono
lungo dito che indirizza lo sguardo verso lidi
ch'io solo vedo.

Oppure, uomo che generi razze
ed etnie, lascia parlare
l'umanità, sostrato
imponente di corpo anima e spirito;
lascia che dica
essa parole sagge 
e sapienti: eguali invero noi siam tutti
al di là delle distinzioni
unico popolo
e universale nazione che anela 
a unico e universale Stato.


domenica 8 dicembre 2013

Telos ...


Finalità prima e ultima dell'operato statale e dell'agire politico


Qual è il bene dello Stato? Il bene di qualcosa è ciò verso cui quella cosa si volge come al proprio fine. Il fine dell'operato statale non può che essere lo scopo ultimo che guida tutte le iniziative pubbliche. Ogni iniziativa si dirige in effetti a uno scopo particolare, ma qui si intende delineare - o meglio, rammentare, in quanto pare essere caduto nell'oblio - il proposito generale che sta, o dovrebbe stare, dietro a qualsiasi agire politico e ne determina, o dovrebbe determinare, il valore. 
Giacché la politica è materia di uomini, occorre partire dall'essere umano. Il fine dell'essere umano è la conservazione, l'affermazione e l'accrescimento della vita dell'individuo e della specie, come principalmente vuole l'istinto. Quando lo Stato, ovvero la sola forma della sovranità, nacque assieme alla comunità umana (ogni raggruppamento sociale ha infatti bisogno di uno Stato che amministri e governi per far sì che sia realizzabile la convivenza civile e non si produca il caos dell'anarchia. Il termine "Stato" va ovviamente tradotto non in senso di Stato moderno, Stato-nazione, Stato occidentale, e simili, ma come "qualsivoglia forma di sovranità di qualsivoglia società", sia essa primitiva o sviluppata, antica o recente), il suo scopo non poteva che essere quello condiviso da tutti gli uomini al di là delle loro distinzioni di personalità, carattere, intelligenza e forza, cioè creare una struttura di ordine nella quale fosse possibile conservare, affermare e accrescere la vita umana al meglio. Tale obiettivo esprime l'essenza della politica.
Se ciò è vero, allora quella struttura stessa e quell'ordine devono essere conservati, affermati e accresciuti, affinché si mantenga, imponga ed elevi la sua efficienza. Da questo consegue che il fine e il bene dello Stato è: conservare, affermare e accrescere sé stesso, in vista della conservazione, dell'affermazione e dell'accrescimento della vita dell'essere umano, e tutti i fini e i beni secondari sono compresi in codesto fine e bene primario e debbono servirlo, tanto che, se ciò non avviene, la politica si corrompe e decade immiserendosi.

Adamo ...


Passaggio dai beni relativi al Bene assoluto


Il termine "bene", posto come soggetto - il Bene ... - o come predicato - ... è bene -, designa, in filosofia, il concetto morale sommo. Essendovi un riferimento alla morale, esso non può che riferirsi all'essere umano, solo esecutore, e a volte artefice, di imperativi morali, nonché alla Divinità, origine diretta o indiretta di quelli (e in quest'ultimo caso l'uomo non è altri che un mediatore). Ora, qual è mai il Bene, ovvero ciò che è bene in assoluto, e quali invece i beni relativi?
Si dice bene ciò che appaga lo spirito o il corpo, oppure entrambi spirito e corpo, recando loro piacere e gioia. Ma ogni persona, ed ogni civiltà, possiede determinate idee di ciò che può essere considerato buono e di ciò che non può esserlo, e tali idee differiscono spesso tra loro, tanto che ciò che una persona, o una comunità di persone aventi la medesima cultura, reputa buono, può sembrare a un'altra persona o comunità qualcosa di malvagio. Ad esempio, si può considerare buona la ricchezza e cattiva la povertà, buono l'essere sensuali e cattivo l'esser casti, e, a seconda dei propri giudizi e pregiudizi - i quali essenzialmente dipendono dalla presenza o meno, nei comportamenti altrui, di un accordo con i precetti della morale personale e della morale collettiva -, buona una persona o una civiltà, e cattiva la persona o la civiltà avversa; ma anche viceversa, in un'inversione di valori della quale vi è ampia manifestazione nella vita quotidiana e nella storia dell'umanità. Di qui la relatività dei singoli beni. 
Nondimeno sussistono dei beni stabili, che sono tali per tutte le persone, di qualsiasi civiltà si tratti. L'assennatezza e la pietà sono beni di codesto tipo, di contro alla pazzia sconsiderata e alla crudeltà bieca, sempre e comunque dei mali. Ciò vuol dire che sussistono basi certe, i cosiddetti beni assoluti, sulle quali potersi costruire una morale universale, a partire da tutte le morali particolari preesistenti. Detto ciò non si è però ancora giunti a identificare il Bene assoluto. Con Bene assoluto noi indichiamo Dio e con egli il suo volere, che non può essere se non volto al meglio, come si addice al Divino. Può l'uomo scorgere un tale Bene? Se ci sono dati messaggi a riguardo, se vi sono segnali a indicarlo, questi non possono che trovarsi nell'interiorità umana innanzitutto, e secondariamente nei prodotti di questa interiorità (tradizioni, dottrine tramandate, testi sacri, eccetera). Cosa ci insegna allora l'anima?
L'anima insegna che vi è un istinto che preme, mediante pulsioni inconsce e desideri consapevoli, per essere appagato. Codesto istinto mira in ogni modo, non meramente alla conservazione dell'individuo e della specie, bensì all'affermazione e all'accrescimento della "vita", e ciò anche a costo della repressione o sublimazione di numerose tendenze particolari in vista della ben più importante tendenza generale. La vita personale e collettiva, e la vita collettiva più di quella personale in quanto la preservazione di quella è condizione della preservazione di questa, deve essere conservata, affermata, accresciuta. Così la Natura vuole per mezzo dell'istinto e con ciò ella indica noi il Bene assoluto; di conseguenza qualsiasi altro bene che sia riconosciuto al di fuori di questo unico risulta essere un bene relativo.  

Sole ...


(Forma metrica: madrigale)


Il baleno


Riluce il Bene come astro del cielo
e lo spazio dell'anima riflette
il suo baleno; d'erba un verde stelo

si leva, e docile si rimette
al giudizio del giorno. Sicché l'uomo
se dentro è prato vasto, alle vette

più alte giunge, retto essere mai domo
e in tal modo espia la colpa del pomo.

domenica 3 novembre 2013

Unione ...


Per il principio dell'unità dello Stato


Circa centocinquant'anni fa si compié quel processo che oggi denominiamo unità d'Italia (la data convenzionale è il 1861, anno della proclamazione del Regno d'Italia, ma in verità l'unificazione fu portata a termine solamente nel 1919, con l'annessione di tutti i territori della penisola). La Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore nel 1948, sanciva codesta unità quale uno dei fondamenti dello Stato. Tuttavia, nel 2001 venne approvata, mediante referendum, una riforma che introduceva principi di federalismo nel testo costituzionale.
Le modifiche riguardarono alcuni articoli relativi all'ordinamento territoriale italiano: risulta innanzitutto ampliata la funzione legislativa attribuita alle regioni; se in precedenza erano espressamente indicate le competenze regionali e la potestà su tutte le materie non indicate era dello Stato, ora al contrario sono indicate, e dunque limitate, le competenze statali, mentre la potestà su tutte le altre materie viene assegnata alle Regioni. Risultano poi ampliate anche le funzioni amministrative, organizzative e finanziare degli enti locali - Regioni, Province e Comuni - aventi adesso maggiori poteri, autonomie e responsabilità rispetto al passato. Infine, nei rapporti tra lo Stato e gli enti locali, risultano diminuite le possibilità di intervento normativo del primo nei confronti dei secondi e aumentate invece quelle dei secondi nei confronti del primo. 
Gli emendamenti suddetti minano il principio dell'unità, conquistato con il sudore e con il sangue del popolo italiano durante il Risorgimento. Oltre a ciò, i risultati a cui essi hanno portato sono sotto gli occhi di tutti: dal 2001 a oggi la corruzione all'interno degli organismi locali, privati del controllo statale, ha raggiunto gradi esorbitanti; numerosi enti si ritrovano a essere ostaggio delle mafie e delle criminalità organizzate, certamente più forti e influenti a livello locale piuttosto che a quello statale; la tassazione ha ricevuto un'impennata consistente a causa delle delibere regionali, provinciali e comunali; interi servizi, quali la sanità e l'istruzione, sono in rovina anche per via della cattiva gestione da parte degli organi preposti. Il quadro generale (che non potrà se non peggiorare nel caso di un effettivo completamento della forma federalista, struttura culturalmente e materialmente non adatta alla realtà italiana) è quello di una Stato incapace di far fronte ai problemi e alle esigenze istituzionali e collettive, non solo perché colpito dall'inettitudine del personale politico, o in quanto subisce la mancanza degli strumenti necessari, bensì pure per l'assenza di una base legislativa adeguata, che riconoscendo l'unione, non soltanto del territorio in sé, ma delle funzioni di conduzione degli organi territoriali, permetta l'imporsi di una determinata efficienza nell'azione degli enti locali e di una conseguente stabilità in tale campo governativo.

Unità ...


Discorso sopra la categoria dell'Uno


La Filosofia non ricerca la verità in quanto esatta certezza, come fa invece la Scienza; piuttosto essa ricerca l'unità, che si identifica di fatto con la verità intesa come illatenza e svelamento. L'Uno - non il Vero - è la categoria che guida la disciplina filosofica nel suo peregrinare, e questo processo si delinea pertanto come un processo di comprensione. Comprendere significa appunto racchiudere il molteplice delle idee e dei pensieri, il quale corrisponde al molteplice che è proprio delle cose, in una visione generale o pensiero unitario, che rispecchi la generalità e unitarietà del Tutto. 
D'altronde, Uno e Tutto si identificano l'uno con l'altro. Se il Tutto ci appare diviso nelle sue molte parti, di cui noi facciamo esperienza continua, ricondurre queste molte parti all'Uno è il compito ultimo della Filosofia. Come potrebbero infatti le parti singole presentarsi in maniera separata? Come potrebbero sussistere se non fossero, al fondo, legate vicendevolmente? Sapere è aver scovato tali legami a partire dai molti, ed esser poi risaliti all'insieme che li raccoglie. Tutto ciò che appare distinto al senso comune va quindi ricongiunto attraverso l'individuazione di un elemento sostanziale o causa prima, e questa opera si compie mediante l'intelletto e l'intuizione, facoltà somme del filosofo. 
Ma l'Uno si compone della Diade. Con il termine Diade mi riferisco genericamente alle opposizioni di contrari ovunque ravvisabili nei domini del mondo e del pensiero, e in complesso rappresentabili nel simbolo cinese Tao (che può essere tradotto con "la Via"), unione armonica dei principi yin e yang. Secondo la tradizione, yin si mostra quale elemento negativo e passivo: il buio, l'odio, il male, il freddo, la notte, la luna, l'inverno e l'autunno, la terra e l'acqua, la morte e la guerra, la materia e il corpo, la passione, la natura, la femmina, eccetera; al contrario, yang si mostra quale elemento positivo e attivo: la luce, l'amore, il bene, il caldo, il giorno, il sole, l'estate e la primavera, il cielo e il fuoco, la vita e la pace, lo spirito e la mente, la ragione, la cultura, il maschio, eccetera. Tutte le polarità possono essere ridotte a questi due elementi, che perennemente lottano l'uno contro l'altro eppure permangono assieme nella quiete. Ebbene, comprendere il Tutto è in primo luogo scorgere le contrarietà opposizionali e in secondo luogo riportarle nell'integrità dell'Uno.  
 

Panteismo ...


(Forma metrica: rondò)


Hen kai Pan


In lungo e in largo ho voltato lo sguardo
e ti ho cercato, qui e pure altrove.
T'immaginavo simile a vegliardo
Signore che ogni cosa fissa e muove.

Ma io dell'esistenza tua le prove
non riuscii a vedere: come oscurato
 il mio sguardo, sotto un cielo che piove
lacrime d'abbandono, estenuato.

E vagava l'animo malandato
in aridi deserti camminando
e l'eco del respiro mio affannato
nell'aria volteggiava sperso. Quando

 un giorno d'improvviso ridestando
dal torpore la coscienza sopita
allontanai il ragionare nefando
e risvegliai la mente annichilita.

Ricco di nuova salute e di vita
finalmente compresi: non tra i molti
t'avrei trovato, conoscenza ambita
'ché tu sei Uno; l'ignoran gli stolti.

 Il sacro intuito degli uomini colti
ci insegna che Egli, nostro baluardo
coincide col Tutto, ne siamo avvolti
e in questo abbraccio di fiamma, io ardo.


giovedì 3 ottobre 2013

Costi ...


Teorie dell'inflazione: una sintesi


Vi è molta incertezza, all'interno della scienza economica, riguardo al fenomeno dell'inflazione e alla sua interpretazione. Si ha in effetti difficoltà a scorgere una teoria adeguata, avente pieno riscontro nell'oggettività dei fatti, e che ponga in accordo le opposte fazioni. Il motivo di ciò è presto detto: l'inflazione è un caso sociale estremamente complesso, che come tale si sottrae alle spiegazioni unilaterali, sin troppo semplicistiche.
Innanzitutto va data una definizione del termine: in economia si dice "inflazione" l'aumento complessivo del livello medio generale dei prezzi, o la diminuzione progressiva del potere d'acquisto della moneta. Tale definizione è condivisa da tutte le scuole economiche, le quali però si dividono su quelle che dovrebbero essere le cause del fenomeno. Per i cosiddetti monetaristi, seguaci dell'economista e premio Nobel Milton Friedman, l'inflazione risulta essere causata da un aumento eccessivo della quantità di moneta circolante a fronte di una penuria di merci prodotte. Codesta spiegazione, che è fondamentale ma non tiene conto di tutte le sfacettature del caso, è divenuta oggi, nella volgarizzazione del senso comune, ancor più ristretta: l'inflazione si genererebbe automaticamente come effetto dell'immissione di moneta nella circolazione. Diverso il parere dei keynesiani, aventi come maestro e ispiratore l'economista John Maynard Keynes: per essi l'inflazione nasce da un eccesso della domanda globale sull'offerta globale, a prescindere dalla quantità di moneta immessa nel sistema. Anche questa spiegazione, sebbene più ampia della precedente, si mostra insufficiente.
La versione monetarista e quella keynesiana sono le principali teorie concorrenti. Il loro problema è che entrambe edificano la propria tesi ipotizzando una condizione di piena occupazione, ovvero di assenza di disoccupazione, che non ha validità concreta in quanto non si dà nella realtà, e ciò vuol dire che il fenomeno non dovrebbe affatto presentarsi in un regime di occupazione normale, in quanto l'eccesso di moneta o di domanda sarebbe qui equilibrato da una cospicua presenza di disoccupati che, una volta assunti, andrebbero a rimpolpare la produzione e l'offerta. Inoltre riconducono erroneamente l'intera questione a una cagione unitaria non tenendo in considerazione le ulteriori sorgenti inflattive. Ma se si desidera porre le basi per una politica di contenimento e di risoluzione del problema, giacché tale è appunto la presenza d'inflazione all'interno della società, occorre operare una chiarificazione.
Vi sono altri due modi in cui i prezzi dei prodotti possono subire un innalzamento: con l'aumento del valore del prodotto, cioè dei costi per la sua produzione - prezzi dei macchinari e delle materie prime, trasporti, salari, eccetera -, oppure con la diminuzione del valore della moneta, in caso di svalutazione. Va inoltre considerata sia una situazione di concorrenza di mercato, sia una situazione di oligopolio, sia una di monopolio, che influiscono diversamente sul rapporto tra la domanda e l'offerta: nel primo caso infatti i prezzi tenderanno sempre a ridursi, nel secondo tenderanno alla stabilità, ossia a salire e a scendere moderatamente permanendo entro un certo livello, e nell'ultimo a impennarsi. Infine, l'azione della finanza speculativa può influire, attraverso la compravendita di strumenti derivati over the counter, pesantemente sul rialzo dei prezzi.
Sintetizzando i vari elementi elencati si può azzardare una spiegazione che renda conto di tutte le cause in atto: l'origine dell'inflazione va individuata, in definitiva, in un aumento della domanda di merci e servizi, nonché di titoli derivati, all'interno di un sistema economico a bassa produttività aziendale, oppure in mancanza di concorrenza sul mercato dei beni, e in cui sussistano mercati finanziari non regolamentati. 

Uroboro ...


Delineamento della pulsazione cosmica nel suo svolgimento perenne e destino dell'Universo


L'Universo, originato da un'esplosione primordiale denominata Big Bang, si espande inesorabilmente. La sua espansione non è un fatto accidentale, bensì un fenomeno necessario, il cui accadere è dettato dall'intima natura ed essenza profonda del cosmo medesimo (con tale termine non si intende l'Universo, bensì piuttosto l'ordine e l'armonia che lo caratterizzano, dalla parola greca "kosmos", che sta a significare appunto "ordine, armonia"), che è poi la natura e l'essenza di quell'elemento che lo compone in lungo e in largo: l'energia, ovvero l'anima del mondo.
La grande esplosione iniziale fu solo una scintilla che diede l'avvio al movimento, ma che non poteva far sì che esso continuasse a perdurare e aumentare; pertanto la Scienza ha scovato, a spiegazione di ciò, un ulteriore ampliarsi, e ne ha determinato la causa. Questo processo fu detto inflazione cosmica, e cioè quella fase, seguita al Big Bang, di espansione rapidissima dovuta all'azione della cosiddetta energia del vuoto, o energia oscura. Nei pressi di questa energia, la quale pervade l'intero spazio-tempo, ma era in principio compressa in uno spazio minuto e dunque aveva densità estremamente elevata, si verificano delle fluttuazioni quantistiche o vortici che generano coppie di corpuscoli materiali del tipo particella-antiparticella, i quali subito, nella loro contrarietà, si attraggono e scontrano annichilandosi l'un l'altro e tornando di nuovo nella condizione energetica precedente la loro creazione. Codeste micro-esplosioni, numerose e frequenti ai primordi, più rade oggi in seguito all'allargamento delle dimensioni dello spazio-tempo e alla conseguente rarefazione dell'energia, fanno da propulsore per il moto di espansione continuo. Tutt'ora infatti, com'è stato osservato, l'Universo accelera la propria espansione, seppure tale accelerazione è di gran lunga meno intensa che in passato. La proprietà naturale ed essenziale dell'Universo e dell'energia, la loro caratteristica più propria, risulta allora essere l'incremento senza limiti, il potenziamento assiduo e la crescita costante.  
Eppure anche questo movimento è destinato ad esaurirsi. Una opposta forza lotta contro la forza espansiva per il sopravvento, e aumenta la sua portata man mano che l'Universo si riempie di materia, la cui creazione a partire dall'energia non si arresta. La gravità, che ha nascita dalla deformazione spazio-temporale provocata dalla presenza dei corpi di materia sul tessuto energetico universale, attrae ogni corpo verso i corpi dotati di massa maggiore, e tutti i corpi in genere verso il centro ultramassiccio dell'cosmo, un buco nero sorto dalla grande esplosione. L'Universo allora non potrà che contrarsi e collassare, nel momento in cui codesta forza gravitazionale avrà superato e vinto la forza espansiva rivale, tendente, al contrario dell'altra, a ridursi fino a stabilizzarsi in un livello costante. Si avrà quindi il cosiddetto Big Crunch, o grande implosione, in un cammino a ritroso verso l'inizio. Ma proprio l'implosione dell'Universo, una volta compiuta, non potrà che causare nuovamente, con la sua violenza, una esplosione, e con essa un'espansione, e così via all'infinito in un un andamento ciclico e oscillatorio che in molte visioni cosmologiche assume il nome di eterno ritorno, e che si mostra come la prova più evidente dell'immortalità dell'Essere e della Natura.
  

Accrescimento ...


(Forma metrica: verso di quattordici sillabe)


Prolifera e cresce


Prolifera e cresce la volontà di Potenza
e sale, amplia il suo orizzonte, larghe vedute
mai s'esaurisce, mai si fa intimidire, mai
dinanzi a ciottoli e montagne, minuti ostacoli
ed enormi; non s'arresta, piena straripante.
Dismisura è sua misura che aumenta continua
e ella dietro fulgide e sacrosante creazioni
opera invitta, istinto di Vita e di Morte.
E qui senz'altro si intravede, come allo specchio
l'impulso, il desiderio, l'anima soave:
qui sta l'essenza loro, la natura profonda
che in alto le porta e beate le fa lievitare.
Non è tale l'essenza e la natura dell'uomo?
non è tale l'essenza e la natura del mondo?
Giacciono, uomo e mondo, nei meandri del Dio
e l'uno e l'altro si schiudono, fiori silvestri
e appassiscono per poi nuovamente sbocciare.
Ma d'Eternità è strumento questo inaridire.


venerdì 13 settembre 2013

Diavolo ...


Momenti estatici socialmente negativi e cerimoniali risanatori 


Può essere individuata, nelle società antiche e moderne, una forma d'estasi volgare e impura, che si presenta come impossessamento della mente e del corpo, e dominio dell'inconscio sulla persona. Si può notare codesta forma estatica in tutti i fenomeni isterici compulsivi, ovvero in tutte quelle occasioni in cui l'uomo perde, per un motivo o per un'altro, il senno, e agisce quindi in maniera incosciente, mostrando impetuosi e a tratti sconvolgenti segni di follia: si va dal semplice raptus o accesso di collera nel caso di uomini comuni affetti da debolezza psichica, alla violenza brutale e insensata nel caso dei crimini di guerra commessi dai soldati; dal singolo che per un momento annulla la propria capacità di intendere e di volere compiendo un atto empio - l'assassino, lo stupratore patologici -, al collettivo che, per un tempo più o meno lungo, annichilisce la propria ragione finendo per appoggiare e commettere idee ed azioni sconsiderate e irrazionali - i più accesi sostenitori di un Hitler, di uno Stalin, oppure di un Mao. In siffatte situazioni si ha come un allentamento dei freni inibitori e una regressione al rango di mero animale, o anzi, peggio ancora, di bestia bruta. Come può uno Stato limitare cotali espressioni sub-umane? Di certo l'origine di questi fenomeni sta in quell'elemento profondo, fautore in egual modo anche delle più grandi e meravigliose espressioni dell'umano, che risponde al nome di istinto: esso può infatti essere rivolto verso l'alto come verso il basso, e sta allora al Potere incoraggiare la prima direzione e fiaccare invece la seconda per il bene dell'unione civile. 
Vi sono state, e vi sono tuttora, delle ritualizzazioni periodiche che permettono di dirigere le espressioni estatiche negative, lasciando sfogare le pulsioni aggressive che vi sono celate, e non permettendo che esse si accumulino per poi esplodere in un depredamento della coscienza che assume, inevitabilmente, contorni ostili. Rituali di questo tipo possono essere, ad esempio, i baccanali nelle società greca e romana, ma anche il tarantismo salentino e, oggi, l'encierro in Spagna, sorta di rituale secolarizzato. Attraverso cerimoniali tradizionali del genere, legali e sottoposti a regole, si limitano i danni in cui si incorrerebbe se si lasciasse l'istinto libero di esprimersi come vuole, senza vincoli di sorta. In tal modo un evento negativo incontrollabile al livello della persona singola e del raggruppamento di persone singole può essere sottoposto a controllo e reso in certa misura più innocuo, tramutando in bene ciò che era volto al male. Pertanto, è giunta l'ora di pensare alla possibilità di creare nuovi accorgimenti analoghi (seppure in molti, non comprendendone l'utilità, li condannano duramente) per accrescere il benessere degli uomini e migliorare la convivenza tra di essi.       

Comunione ...


Descrizione sommaria dell'esperienza estatica


Il termine "estasi" significa, letteralmente, lo star-fuori-di-sé, ed è riferito a rare e particolari esperienze personali, tipiche soprattutto dei santi e dei religiosi più appassionati, verificantisi in ogni parte del mondo e in ogni epoca. 
Per poter stare fuori sé stessa, la persona deve necessariamente uscir fuori da sé stessa. Ma com'è mai possibile che ciò accada? Innanzitutto, la qualità fondamentale che deve possedersi per poter raggiungere uno stato altro, ovvero uno stato mistico contrapposto allo stato normale, è la fede, e precisamente la fede in una Divinità, in qualunque modo la si concepisca: solo chi creda in un Principio divino, infatti, è in grado di immergersi mente e corpo in tale Principio, giacché di questo e di nient'altro si tratta; l'estasi è, appunto, un annullamento temporaneo del proprio sé nella congiunzione con un Sé di diverso tipo, l'abbandono della propria essenza individuale in favore di una essenza universale che la ricomprenda senza distinzioni.
Un evento siffatto può essere vissuto e descritto in molti e differenti modi, e pertanto la seconda caratteristica necessaria alla persona è una fervida immaginazione, sia per poter percepire in pieno ciò che, di fatto, è difficilmente percepibile, sia per poter esprimere con le giuste parole - quasi sempre parole poetiche - codeste percezioni propriamente uniche. Una persona priva di immaginazione non può rappresentarsi ciò che sente, e non può quindi amplificare la sensazione e il sentimento sino ai limiti possibili e oltre ancora, per dare a questi un corpo e donargli statuto di realtà (in tal caso la condizione estatica, comunque esperibile nel caso in cui tutti i sensi siano eccezionalmente fini, può al massimo permanere in uno stato virtuale, manchevole di consistenza corporea); inoltre, così come non si potrà avere immagine di ciò che accade, non si potrà farne discorso, risultando, essa, cosa talmente vaga da mostrarsi confusa e inesprimibile.
Non è affatto possibile uscir fuori da sé stessi se non per mano propria, attraverso uno sforzo interiore. Nessun'altro, dall'esterno, può penetrare interamente nell'interiorità di una persona e imprimervi la sua azione. Dunque ci si concentra in sé medesimi per trarre sé stessi fuori da sé medesimi e congiungersi con il Sé di Dio, o della Natura, facendoci tutt'uno con Lui o con Lei; uomini non-ordinari possono raggiungere tale disposizione privilegiata, che infonde nell'animo una gioia altrettanto non-ordinaria. Si approda così alla consapevolezza che il Divino è presente attorno a noi e dentro di noi, e che noi stessi si può divenire divini partecipando ardentemente della Sua sostanza, una volta che ci si sia rinchiusi nella propria intimità, lontano dagli altri e dal mondo, per aprirci ad accogliere l'Altro, permettendo ai sensi di percepire l'Altro accoglierci a sua volta nel proprio seno. Qui sta certamente custodito un grande segreto per chi voglia e sia capace di portarlo alla luce.
  

Estasi ...


(Forma metrica: verso di tredici sillabe)


In te m'inoltrai


In te, Madre, m'inoltrai timoroso e inquieto
un giorno, quando già Fede m'aveva empito
il cuore bramoso del tuo amoroso tocco:
mai sino allora avevo percepito il corpo
della Dea che tutto avvolge in abbraccio ampio
sul mio giovane corpo gagliardo di figlio
ma della tua voce i sussurri mi giungevano
all'orecchio, e della tua piena esistenza
avevo saputo dal mio ricco intelletto
l'Inizio indagando di Cosmo, Vita e Mente.

Eccomi dunque in vaste lande inabitate
tra verdi monti costeggianti il mio paese
- lì dove la madre di mia madre abitava
col marito in umile dimora - d'estate;
il fiume, protettore delle rade case
dei paesani (ma loro ai santi danno omaggio
e non invece agli Dèi) m'accompagnava
nel tragitto fluendo fedele al mio fianco
e quand'anche non lo scorgevo, occultato
da grovigli d'arbusti spinosi e da alberi
il suo procedere udivo rasserenante
e l'animo mio eremita allora trovava
la compagnia che mai prima aveva trovato
nella civiltà, tra uomini camminando.
E la selva lontano dalla via sterrata
mi chiamava, e io alla chiamata risposi
senza esitare. Fra alti e freddi cespugli
m'addentravo, in mano un bastone di legno
alla ricerca d'un luogo che fosse adatto
ad intenso e religioso raccoglimento;
non supplice preghiera, bensì concentrata
meditazione, al modo di saggio asceta.
Ed ecco diradandosi la macchia informe
un isolotto minuto e sassoso vidi
adagiato nel mezzo del comodo letto
nel quale il corso d'acqua trasparente scorre
e ai lati due rami di fiume lo cingevano:
lì volli accomodarmi, e i miei piedi immersi
sin'oltre le caviglie, nel gelido liquido
a traversarlo, poiché quello era l'altare
e l'incontaminata Natura il santuario
e il cielo azzurro il soffitto del sacro tempio.

E lì seduto, le gambe incrociate, ritto
simile a un fiore di loto, Ella distese
la mano, e mi carezzò il volto abbronzato
e tra le braccia prese il mio torace nudo.
Il Sole di mezzodì era il vigile occhio
caldo di luce a far erompere sudore
dai vulcani pori del derma; il brillante
prodigio dei bagliori riflessi sull'acque
era magia, e gli insetti multiformi
che ora innocui sulla pelle mia si posavano
solleticando l'anima, erano brivido
di meraviglia; radiosa energia investiva
possente, mia coscienza, e l'unificava
con l'onnipervadente Coscienza di Dio.
Ed io più non ero, poiché l'Essere era.
E aperta la radura, essa si richiuse
quando i socchiusi occhi furono riaperti
infine, e di gioia traboccante andai
a vivere fiammeggiante ulteriore vita.

Mai scorderò la sana e incantevole ebbrezza
la mistica evasione che fu rapimento
la contemplazione del divino Miracolo
che eretici e miscredenti fa impallidire
l'esperienza delle esperienze, e il piacere
soltanto a orgasmo indomito paragonabile
in verità e bellezza, spontaneità e pace.

martedì 6 agosto 2013

Elezione ...


Sistemi elettorali e suffragio universale


Ciò che contrassegna la democrazia rappresentativa è il sistema elettorale, mediante il quale i cittadini possono esercitare quel potere che da un secolo a questa parte gli è dato. Il presupposto è il suffragio universale, ovvero il diritto di voto per ogni cittadino che abbia raggiunto la maggiore età. Detto questo, bisogna in primo luogo riflettere su quale sia il miglior metodo elettivo, e in secondo luogo chiedersi in che modo un suffragio allargato e senza restrizioni possa avere ripercussioni positive sulla politica di un paese.

Due sono le tipologie di sistema elettorale: il maggioritario e il proporzionale, ma sono anche possibili strutture miste che amalgamino insieme entrambi i sistemi di votazione, come ad esempio avviene in Germania e in Giappone. Il sistema maggioritario, in vigore in paesi quali Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, India, Australia e Francia, prevede la suddivisione, salvo casi speciali, del territorio in collegi elettorali uninominali (in cui viene eletto un solo candidato), tanti quanti sono i seggi parlamentari da assegnare; in ogni collegio il candidato è scelto a maggioranza relativa oppure assoluta, e pertanto si avrà, rispettivamente, uno o due turni di votazione. Il governo spetta invece, o al candidato del partito che abbia così ottenuto la maggioranza dei seggi, o al candidato vincitore di una separata elezione. Il sistema proporzionale, in vigore in Brasile, Spagna, Italia, Svizzera, Paesi Bassi, Scandinavia, Russia e altri, si basa sull'uso di una o più circoscrizioni plurinominali, nelle quali vengono presentate, da parte dei partiti, liste aperte o chiuse di candidati che saranno poi votate dagli elettori; i seggi parlamentari risultano qui ripartiti in proporzione alla percentuale di voti ottenuti e il governo è assegnato alla coalizione maggiore.
Il sistema maggioritario possiede, in genere, i vantaggi derivanti da una forte solidità dell'esecutivo, il che corrisponde a una maggiore governabilità - ad esso si associa infatti, di norma, il bipolarismo. Tuttavia può accadere che il partito e il candidato ai quali è affidato il governo non siano quelli che hanno ricevuto i voti della maggioranza dei cittadini. Può addirittura accadere che un partito e un candidato eletti si trovino a dover governare assieme a camere parlamentari nelle quali la maggioranza è in mano alle opposizioni, e ciò si traduce inevitabilmente in uno stallo. Altro problema non tralasciabile è la mancanza di rappresentanza effettiva per ampi strati della popolazione in un modello bipolare, tanto più se bipartitico. A tutto ciò si aggiunge la difficile correggibilità del sistema in sé, che non può essere reso più democratico.
Diverso è il caso del sistema proporzionale, che ha appunto il vantaggio della democraticità, in quanto la quasi totalità della popolazione risulta essere rappresentata in parlamento, e il governo è assegnato ai partiti e ai candidati votati dalla maggioranza reale dei cittadini. Inoltre, nei sistemi del genere solitamente si possono apportare, e si apportano, correzioni come la soglia di sbarramento e il premio di maggioranza per ovviare agli inconvenienti dell'eccessiva frammentazione partitica e della possibile instabilità dell'esecutivo. Unico difetto, se tale si può definire, è l'obbligo per il partito e il candidato che abbiano ricevuto il maggior numero di voti di coalizzarsi con altre formazioni in vista dell'ottenimento della maggioranza alle camere, cosa che implica il dover conciliare il proprio programma elettorale con quello delle altre formazioni, mediando tra le loro richieste. Quest'obbligo ha però anche il merito di incoraggiare il governante ad acquisire una maggiore abilità e intelligenza nelle questioni politiche. 
Appare allora evidente la superiorità del sistema elettorale proporzionale su quello maggioritario (con la sola eccezione della situazione italiana, in cui i diversi metodi d'assegnazione del premio di maggioranza - di un'ampiezza peraltro eccessiva - per ognuna delle due camere fanno sì che, se anche in una di queste si ottiene la maggioranza dei seggi, nell'altra non si è invece certi di ottenerla, con il conseguente rischio di ingovernabilità. Tale è l'anomalia nostrana, che non intacca il valore del sistema proporzionale).

Ora si può rispondere al secondo quesito che, all'inizio, è stato posto: davvero il suffragio universale fu un progresso per la politica? Se tutti i cittadini devono poter eleggere i propri rappresentanti, allora bisogna anche assicurarsi che essi possiedano un'indipendenza confacente, una buona cultura storica, una comprensione adeguata delle vicende politiche e un'opportuna visione d'insieme che gli permettano di votare non secondo una moda, né abbandonandosi all'intensità di un sentimento o impulso irrazionale destato da qualsivoglia personaggio carismatico, e neppure sotto l'influsso delle opinioni e dei pregiudizi di persone assieme alle quali si vive, o anche di una propaganda mediatica faziosa. E se così non fosse, allora la politica di un paese sarebbe più di tutto determinata da codesta serie di variabili, le quali possono facilmente concorrere contro quello che è il vantaggio pubblico e collettivo.
 

Democrazia ...


Caratterizzazione dei poteri in un regime democratico e principio della loro separazione


Il regime democratico si presenta quale la forma politica dominante dell'età odierna. La storia contemporanea non è altro che la storia dell'imporsi, tra gli Stati occidentali, degli organismi democratici sopra agli altri tipi di organismo non-democratici. E come il capitalismo si è affermato per mezzo della divisione del lavoro, che ha consentito una produzione di ricchezza senza eguali per le comunità umane, così la democrazia si affermò per mezzo della divisione dei poteri, la quale permise l'ottenimento di tutele per i cittadini mai sperimentate in passato.
I poteri dello Stato sono quattro, e accanto a essi vi sono poi un potere appartenente alla società nel suo insieme e un'altro appartenente invece alla cittadinanza; sei in tutto.
I quattro poteri statali sono il potere esecutivo, il potere legislativo, il potere giudiziario e il potere monetario. Il primo, prerogativa del governo, si occupa di far rispettare l'ordine e le leggi, di dirigere le forze militari e i servizi per la collettività, di gestire la politica interna ed estera, e di amministrare le funzioni pubbliche. Il secondo, prerogativa del parlamento, si occupa di legiferare e produrre, approvare, respingere le norme della vita associata, stabilendo i diritti e i doveri di tutti i membri. Il terzo, prerogativa della magistratura, si occupa di risolvere le controversie civili e penali mediante l'applicazione della legge e l'arbitrato di giudici imparziali. Il quarto, prerogativa della banca centrale, si occupa dell'emissione di moneta per assicurare il denaro necessario alla spesa pubblica e salvaguardare, così, la salute dell'economia.
Il potere che appartiene, per così dire, alla società nel suo insieme è il potere mediatico. Esso si delinea come un potere impersonale generato dall'azione congiunta di tutte le istituzioni, pubbliche e private, dedicantisi all'informazione e alla comunicazione delle notizie, siano esse vere oppure false. Attraverso questa azione di produzione e diffusione si genera quindi una opinione pubblica capace di influire sulla pratica politica. Il potere che appartiene invece alla cittadinanza è il potere elettivo, con il quale si intende sia la facoltà di nominare attraverso il voto i propri rappresentanti al governo e in parlamento, sia la facoltà di proporre e svolgere referendum grazie ai quali i singoli si appropriano direttamente del potere legislativo senza la mediazione dei rappresentanti eletti.
Va precisato che si devono definire "poteri" solamente quelle potenzialità che appartengono all'ambito del pubblico e alla sua intima costituzione: i cosiddetti poteri privati infatti (banche, imprese, finanza e l'insieme delle loro attività, ovverosia il mercato) risultano tali esclusivamente per via delle mancanze e dei difetti, intenzionali o non, nell'operato dei poteri pubblici.
La netta separazione tra i sei poteri garantisce un controllo incrociato che ostacola a ogni potere il superamento dei propri limiti stabiliti, preservando in tal modo da qualsiasi forma di abuso, e il loro pieno agire impedisce, in ultimo, l'insorgere di poteri alternativi che non abbiano come fine l'interesse collettivo.

Suicidio ...


(Forma metrica: canzone)


Democrazia, ovvero la meta elettiva


Generata dal ventre della storia
Democrazia, sorta
da semenza greca in fertile suolo
spazzata via come ignobile scoria
per poi rinascer morta
quando ormai l'uomo era già nudo e solo;
il tuo corp'io sorvolo
sovrana d'Occidente, come uccello
che nido sicuro voglia innalzare
ma, ospite novello
non scorge luogo alcuno ove abitare.
Ella somiglia a un mare
turbato, tempestoso
e i popolani navi alla deriva
mosse da moto ondoso
verso duri scogli, meta elettiva.

E fiero il cittadino il proprio voto
ai conterranei dona
regalo di fanciullo inappagato
 ma la politica vien messa in moto
dai figli di Mammona
e dal denaro loro insanguinato
- sangue dello sfruttato
che di rosso tinse la sua bandiera
anni orsono, quando speranza ancora
più che mai viva era.
Sigillato nelle vene, or ora
in angusta dimora
rapidamente fluisce
e certo non strariperà, stavolta
'ché illusione inibisce
chi realtà del Potere non ha colta.

'Sì la fine ogni volta
per volontà di popolo è precorsa
accordo steso a larga maggioranza
e non frena la corsa
tal volere, ma mantiene costanza.
S'andrà allora ad oltranza
oppur s'avrà l'ardire
di voltare il capo e invertir la rotta?
No: s'attende imbrunire
invece che capitanar la flotta.